FRAGOROSO SILENZIO

lunedì 10 febbraio 2014

Che animale sei?






 Ho letto questo articolo e mi è sembrato più che esaustivo, così lo pubblico per cercare di capire (meglio) insieme la disavventura di questa società che va sempre di più alla deriva…

La polizia postale ha sequestrato il video del pestaggio di Bollate…


Da :http://www.lettera43.it/

Rapaci, voraci, autoassolutorie. Danno il cattivo esempio. E non hanno remore. Ma a pagare le conseguenze sono i figli.


Senza un aiutino da parte della famiglia non si diventa come Gianna, Giovanna, o comunque si chiami quell’adolescente subumana, un fagotto in tuta grigia, sneakers e capelli mal tinti, che fuori da una scuola di Bollate ha preso a calci in testa una coetanea fra le urla di incitamento dei compagni. Nessuno di loro è intervenuto in difesa dell’aggredita, ma anzi tutti pronti a filmare la scena e a postarla su Facebook, ignari persino delle conseguenze penali del gesto.
EDUCAZIONE, QUESTA SCONOSCIUTA. Senza una madre come quella di Giovanna, che sempre sui social network scrive una giustificazione incerta e deresponsabilizzante nel tono e nel lessico («le persone possono anche sbagliare»), non si cresce come Giovanna. Senza madri come quelle di Giovanna, si apprende che si chiede scusa quando si urta qualcuno in metro con lo zaino, che si fa passare avanti la signora anziana in fila al supermercato, che si abbassa il tono del cellulare in treno, che se si prende un brutto voto a scuola la colpa è nostra e non dell’insegnante a cui siamo antipatici e che dunque va insultato e minacciato, meglio se da tutta la famiglia.
PORTATRICI DEL CATTIVO ESEMPIO. Ma le madri di Giovanna sono ormai la maggioranza. Ripercorrendo la cronaca degli ultimi mesi, troviamo solo mamme che favoriscono la prostituzione delle figlie per potersi comprare borse griffate e biglietti per concerti, madri che invitano i figli ergastolani evasi a non costituirsi «in memoria di tuo fratello morto per liberarti», madri che giustificano appunto un pestaggio brutale, condotto fra bestemmie e auguri di morte.
NON SONO CASI ISOLATI. Che cosa può aver visto in casa, una ragazzina, per comportarsi in quel modo? Quali conversazioni ha ascoltato, sempre che il termine “conversazione” sia adatto a scambi verbali che hanno prodotto quel risultato? Che cosa ha letto, o non ha letto? Che cosa ha guardato, che cosa ha visto, che cosa le è stato proposto da padre, madre, fratelli? Come si trascorrono le serate, nella famiglia di Giovanna?
Ognuno da solo davanti a Facebook con il proprio lessico minimo e le proprie afasie? E se credete che questi siano casi isolati, casi di cronaca ben diversi dalla realtà, provate a guardarvi attorno.
Rapaci, voraci, autoassolutorie: sono le madri 2.0 
La brutta moda delle madri rapaci, voraci, autoassolutorie, avide di tutto e pronte a prenderselo anche attraverso i figli «perché quello che non ho avuto io deve averlo lui» è diffusa oggi come 20-30 anni fa, quando essere madre era una gioia, magari un dovere, ma non certo uno status, non sarebbe mai stato neanche possibile immaginare.
Le madri di oggi, vittime di una cultura che favorisce l’autogratificazione sempre e comunque, fosse pure nella scelta di uno yogurt cremoso, si vivono come Giunone, portatrici di eternità e generatrici di impagabili geni, e i segnali iniziano presto, con il puerperio.
QUELLO SGUARDO CARICO DI RABBIA. Alla prima carrozzina che vi falcia le caviglie sul marciapiede perché non vi siete scostati abbastanza velocemente, osservate lo sguardo della madre che la spinge e lo coglierete accigliato, carico di rabbia e di dignità offesa: lei ha sacrificato notti in discoteca, viaggi di lavoro in posti lontani, cene con gli amici, un giro vita di vespa per dare un figlio alla patria e voi non vi prostrate timorosi e adoranti?
L'ARIA STRAFOTTENTE E I CAPELLI TINTI. Sono le stesse madri che, due anni dopo, trovate in metropolitana mentre occupano due posti, lei e il piccolo, senza prenderlo in braccio anche se sulla carrozza rimangono in piedi tre anziani. Le stesse madri che, nei due anni successivi, lasciano l’auto accesa in mezzo alla strada per accompagnare il bambino proprio davanti al portone della scuola, e che per tutto il suo percorso scolastico tormenteranno gli insegnanti, tutti inequivocabilmente incapaci di riconoscere i segni del disagio in quel figlio che potrebbe fare tanto bene «se adeguatamente stimolato».
La madre di Giovanna con i suoi pigolii di donna vinta, i capelli tinti in casa e l’aria strafottente della ragazzina raccontano certo un’altra realtà, anche sociale.
LA PIAGA DELLA DERESPONSABILIZZAZIONE. Ma il tema è identico. E riguarda il senso di onnipotenza in cui non solo culliamo, ma in cui cresciamo i nostri figli, e di cui noi stessi vorremmo godere attraverso di loro. Un sentimento ancora più pericoloso perché postula la deresponsabilizzazione: «Le persone possono anche sbagliare». No, madre di Giovanna: non “le persone”, figura astratta, generica, appartenabile alle altre categorie sulle quali scarichiamo i nostri fallimenti come “la società”, “la scuola”, “i nostri tempi”, ma “mia figlia”. «Mia figlia ha sbagliato, io ho sbagliato».  La società che forma i nostri figli siamo noi. La colpa è nostra.
Domenica, 09 Febbraio 2014

Sempre vigili