FRAGOROSO SILENZIO

lunedì 7 ottobre 2013

Di lavoro faccio l’indifferente???????








Solo queste parole...
Non c'è bisogno di dire altro...
Occorre reagire e agire...

07/10/2013
Kebrat, la ragazza dai ricci neri
MASSIMO GRAMELLINI
Pubblichiamo il testo della ’Buonanotte’ data domenica sera da Massimo Gramellini ai telespettatori di “Che tempo che fa” su RaiTre.  

Questa sera vi racconterò la storia di Kebrat, una ragazza di 24 anni con i capelli ricci, di un nero che tende al rosso.  

Giovedì mattina, credendola senza vita, l’hanno adagiata sulla banchina del porto di Lampedusa accanto ai cadaveri, avvolta come un pacco regalo in un foglio di alluminio dorato da cui spuntavano solo le braccia unte di nafta. Aveva la pancia talmente gonfia di acqua e gasolio che, oltre che morta, sembrava incinta. 

Poi all’improvviso Kebrat ha aperto gli occhi e dopo una corsa in elicottero è approdata in un ospedale di Palermo. Tutta tremante, con un filo di voce dietro la mascherina dell’ossigeno, ha raccontato a un’infermiera la sua avventura. 

Kebrat è scappata dall’Eritrea con un gruppo di amici. È scappata da un dittatore sanguinario che spedisce i dissidenti a lavorare in miniera come schiavi e ha trasformato l’antica colonia italiana in un carcere dove le guardie di frontiera sono autorizzate a sparare addosso ai fuggiaschi. Eppure Kebrat ce l’ha fatta. Ha attraversato il deserto del Sudan, prima a piedi e poi su un camion, e dopo due mesi inenarrabili ha raggiunto il porto libico di Misurata. Ha guardato il mare e la bagnarola che stava per salpare, senza neanche sapere dove l’avrebbero portata. L’importante era andare via. Ha consegnato i risparmi familiari di una vita allo scafista tunisino che si faceva chiamare The Doctor. E prima di partire ha indossato il vestito della festa.  

Durante il viaggio non ha mangiato nulla. Ha bevuto acqua di mare perché c’era il sole e aveva tanta sete. Ogni tanto ha pregato Dio con gli altri profughi in tutte le religioni possibili. 

Alle tre di notte di giovedì il mare era grosso, e appena in lontananza è apparsa la terra a Kebrat è scappato da ridere. I suoi brothers, come i profughi eritrei si chiamano tra loro, sventolavano le magliette in segno di giubilo.  

Ma a mezzo miglio dalla costa il motore si è rotto. Kebrat non ha avuto paura: vedeva le luci dell’isola e delle altre barche. Un peschereccio si è avvicinato, poi è andato via. La ragazza ha urlato, ma quelli non sentivano o non volevano sentire. (Kebrat non sa che in Italia chi aiuta un profugo rischia l’avviso di garanzia per favoreggiamento. E non sa nemmeno che il Frontex, l’organismo europeo di pattugliamento che ci costa 87 milioni l’anno, è talmente sofisticato da non vedere un barcone di legno a mezzo miglio dalla costa).  

È stato allora che qualcuno, per attirare l’attenzione, ha dato fuoco a una coperta. Hanno provato a spegnere le fiamme con altre coperte e con l’acqua di mare, ma è stato inutile. Così è arrivata la paura, tutti gridavano, si stringevano, si spostavano dall’altra parte del barcone, che ha cominciato a ondeggiare. Quando ha visto un suo amico ridotto a torcia umana, Kebrat ha trovato il coraggio di gettarsi nell’acqua gelida.  

Ha visto donne che cercavano di tenere a galla i loro bambini, le ha viste affondare nel buio. Sembrava che salutassero, finché le braccia andavano giù.  

Poi non ha visto più niente. Con in bocca il sapore del gasolio e del sale, riusciva solo a sentire le urla: come di gabbiani, ma erano persone. Ha nuotato, prendendo a schiaffi l’acqua per ore. Quando era allo stremo, a malincuore si è tolta l’abito inzuppato, pensando che il suo peso l’avrebbe portata a fondo. A quel punto è svenuta. 

Ora è qui, nell’ospedale di Palermo, in prognosi riservata per lesioni gravi ai polmoni. Del vestito della festa le è rimasta solo la parte superiore del reggiseno, sulle cui coppe aveva scritto i numeri di telefono dei familiari. 
Ma l’infermiera che ha ascoltato la sua storia non sopporta che Kebrat rimanga nuda. Raggiunge il suo armadietto, afferra una maglia bianca, la taglia e la adagia sopra di lei. “Prendila tu, a me non serve”. 
Stasera andrò a letto chiedendomi come fa il mio Paese a ritenere giusta una legge che considera Kebrat una criminale, colpevole del reato di immigrazione clandestina, punibile con l’espulsione immediata e la multa fino a 5mila euro. 



SEMPRE VIGILI



9 commenti:

  1. Cara Iolanda, mi sgomenta al solo pensiero che io, non posso fare veramente niente per far cambiare le leggi che l'Europa e tutto il mondo ha, e mai possibile che la gran parte non vedano queste cose!!! oppure non vogliono vedere!!!
    Spero solo che questa ultima tragedia svogli le coscienze di che può fare qualcosa...
    Ciao cara amica ti auguro una buona settimana.
    Tomaso

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    1. Caro Tomaso, non vogliono vedere...l'indifferenza è una vergogna...

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  2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  3. E la chiamano, la nostra occidentale, civiltà...

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  4. davvero senza parole... ci sono italiani che non riescono proprio a capire non c'è niente da fare

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  5. La legge non considera Kebrat una criminale colpevole del reato di immigrazione clandestina perché Kebrat non è un'immigrata ma una rifugiata. Tuttavia, in questi giorni abbiamo ascoltato "autorevoli" esponenti politici, della Lega soprattutto e qualche tirapiedi del centrodestra, parlare del pericolo immigrati. Perché, furbi loro, mischiano i concetti di rifugiati e immigrati, così il "popolino bue", quello che non vedeva l'ora di una legge come la bossi-fini, quello che andava a manifestare corna in testa e spada alla mano sui pratoni di pontida e beveva l'acqua inquinata di un fiume, così, tanto per giocare ai riti pagani e celtici, continuerà ad ignorare le differenze sostanziali tra le due specie di migranti e potrà continuare a latrare contro gli stessi.

    Ciao Upupa. Comunque, questa non è una vergogna solamente nostra. Questo è l'anno zero del mondo che si definisce civile, moderno e democratico. Un mondo che sta fallendo e che se continua così, verrà travolto.

    Buona serata a te.

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    1. Caro Carlo fa comodo ignorare le differenze sostanziali, ma significa macchiarsi di disumanità...

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